martedì 6 dicembre 2016

"Rubò sei cervi nel parco del re ... "

“Rubò sei cervi nel parco del re … ”
di Lorella Rotondi
   Il furto non è mai stato favorito, anzi, è stato sempre considerato grave.
Quello più comune, cioè della frutta, di una mela in particolare, è oggetto ancora di memoria e di ... catechizzazione., ma eravamo nell'Eden e il frutto era dell'albero della sapienza.
Continuando fra i miti greci, il furto del fuoco condannò il generoso Prometeo a un supplizio tremendo per trent'anni: un'aquila gli divorava il fegato ogni giorno e questo si riformava per volere di Zeus, perché il giorno seguente la tortura si potesse ripetere: sadico e perverso anche se era il re degli dei!
Il furto dello zafferano o il solo pestarlo mentre ci si recava a caccia, era motivo di condanna a morte, poiché il valore, ieri come oggi, è sempre stato equivalente all'oro. La morte era ciò che spettava anche ai ladri di sale o di spezie
Mi viene in mente Giles Milton, “L'isola della noce moscata”, Ediz. BUR: immenso l’intrinseco valore, per noi oggi inimmaginabile, e carico di sangue, di guerre e di vie tracciate fra terre inospitali e oceani solcati su navi spesso insicure e sovraccariche.
Ma il passato non ci trasmette solo una tradizione di cibo e sangue, furto e punizione, spesso metafora della felicità terrena che non si ottiene perché una vita sia senza problemi, bensì per il superamento degli stessi e delle ... tentazioni.
Abbiamo anche un' attenta osservazione delle attività dei mesi, delle stagioni e delle attività a esse collegate con paziente devozione.
   I libri di pietra parlano chiaro e a lungo, a Venezia come a Brescia, a Ferrara come ad Arezzo. Massimo Montanari nella sua recente pubblicazione, “Il sugo della storia” , rileva che in una formella del Battistero di Parma, XII° sec, l'Antelami ha raffigurato un contadino che strappa due grosse rape (pag. 138). Lo storico aggiunge che queste, in tutte le varianti, erano tanto importanti nell'alimentazione quotidiana che non erano sottoposte a gabelle né alcuno veniva punito per il furto di un paio di rape: si faceva finta di nulla di fronte alla fame: allora i signori erano veramente Signori, evidentemente!
   Ma è anche interessante notare che si rimaneva legati alle radici, oggi diremmo identità sociale, senza bisogno di contraffazioni (penso alle finte griffes tanto in voga per quanto siano perseguite sistematicamente dalla legge anche in campo alimentare!). Montanari riporta un racconto su Bertoldo, il contadino di Giulio Cesare Croce, che mangiando a corte cibi raffinati si ammala e invoca i “suoi” cibi”: un po' di cipolla e fagioli, le amate rape cotte sotto la cenere. Le sue radici in ogni senso” (ibidem).
Rubare il profilo altrui era un reato grave, lo si sentiva nelle viscere, sino a morirne. Ognuno ne tragga la morale che crede. Geordie cacciò per denaro, dice Fabrizio de Andrè nel nostro titolo, non aveva vent'anni e pagò con la vita. Eppure era consentito, finito il tempo delle battute di caccia del Signore, cacciare nel parco del re si poteva. Evidentemente era ancora tempo di caccia per il re e non per i Geordie del suo feudo. Non è, dunque, solo questione di furto, ma anche di rispetto delle leggi della natura e degli uomini.

   La buona cucina non fa eccezione: se non è in linea con la generosità delle stagioni e con l'onestà del prodotto genuino, meglio se a filiera corta, rompe un patto antico e compie altro furto grave: la salute del commensale …

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