venerdì 12 giugno 2015

LEOPARDI AMAVA I TORTELLINI ... E NON SOLO

Leopardi amava i tortellini … e non solo
   E’ stato questo anche l’anno di Giacomo Leopardi col film di Mario Martone, “Il giovane favoloso”, interpretato magistralmente da Elio Giordano. Nelle scuole alberghiere italiane è stato affrontato un aspetto inedito e solo trasversale nel film della vita di Leopardi: la cucina, il gusto, il rapporto col cibo ed il poeta.
La cucina e la passione per la tavola rivela tanta umanità, con la sua forza e fragilità, con le sue virtù e contaminazioni, di artisti, poeti, scrittori e di uomini qualunque.
Nel film, durante una visita medica resasi necessaria durante il suo soggiorno napoletano, Giacomo confessa una dieta sostanzialmente proteica e scarsa di verdure e frutta e pertanto viene rimproverato dal medico che lo sollecita a stare lontano dai dolci. Verrà immediatamente ignorato ogni buon consiglio, visto che nella scena successiva lo vediamo intento a consumare un gelato alla crema.
Libertà artistiche come mostrarci che a Recanati, un Leopardi già adulto, si facesse tagliare la carne dal padre con gesto quasi materno? No di certo. Domenico Pasquariello “ Dègo” e Antonio Tubelli hanno pubblicato un volumetto dal titolo molto semplice,“ Leopardi a tavola”, Fausto Lupetti editore di Bologna già nel 2008, in cui sono riportate le quarantanove ricette scritte di pugno dallo stesso poeta. Una lista silenziosa, senza commenti, senza aggiunte, ma sufficiente per offrirci qualcosa di nuovo, di non detto su Leopardi? Probabilmente sì. E risulta che “il piacere” assaporato, quando poteva, lo consolò e lo curò , come capita quando qualcosa non ci nuoce. Vero è, intanto, che non ci sono “concessioni” marchigiane, quindi non ci sono nostalgie “ di casa” nemmeno in questo senso. Non perché la cucina marchigiana non sia ricca di prelibatezze, ma perché nell’austera casa Leopardi non venivano frequentate. Giacomo a Napoli incontra Pasquale Ignarra, “patriota al novantanove (1799) e per giunta finissimo cuoco” e con lui ha scoperto che il buon cibo aiuta a vivere. Dall’ottobre del 1833, Leopardi soggiorna in varie dimore intorno a Via Toledo. Nella Primavera del ’35 si ritira con Ranieri e sua sorella, nonché Pasquale a Capodimonte. L’elenco inizia con tortellini di magro. Dal nono al dodicesimo ci sono prelibate “frittelle” di riso, semolino, mele e pere, borragine. Le uova sono solo al numero 35 della lista e sarà da tenere a mente quando le avremo al primo posto nella lista delle preferenze di un altro letterato.
La parentesi a Torre del Greco fa vivere questo anomalo gruppo sociale che ha il suo fulcro intorno a Giacomo Leopardi, momenti profondamente incisivi per tutti. Leopardi conversa con Pasquale che lo custodisce con le sue semplici eppure ricche prelibatezze, tant’è che Giacomo gli fa comprendere quanto valore ci sia in un piatto: il tempo, la terra che si è fatta “appetibile”grano, farine, prodotti dell’orto e poi i pesci del mare ed il senso e significato della pulizia. Solo così si approdava allo stufatino di pesce, al timpano di tagliatelle, al cacio cotto consumato sotto le pendici del Vesuvio che a breve ispireranno al poeta il capolavoro “ La ginestra”, dove tanta solidarietà insita nel messaggio testamentario di Leopardi ha avuto anche un sommesso profumo ispiratore proveniente dalla cucina di Pasquale.
Pasquale Ignarra, dunque, è stato per Giacomo Leopardi lo scalco, il gentiluomo che sovrintendeva alla cura, filologicamente è anche un modo per dire “ amore” alimentare del Conte Leopardi e, forse, gli gnocchi al latte, la zuppetta di selleri, la trota carbonata o la spumetta di prosciutto o i biscotti di Gragnano hanno fatto la differenza tra mangiare e gustare, come c’è differenza tra cucinare e fare da mangiare.


Lorella Rotondi

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